Esperto di Calcio

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30 giugno 2014

Scrivi "Gazzetta dello Sport" e leggi scarsa informazione

L'informazione sportiva, in Italia, è ai minimi storici. Tolta la piattaforma satellitare (Sky ndr) ed Eurosport, le altre testate e televisioni sono davvero ai più bassi livelli. Personalmente apprezzo abbastanza il Corriere dello Sport, mentre da anni la Gazzetta dello Sport sta toccando inesplorate vette di scarsa qualità.
In occasione dei Mondiali, gli amici della rosea, hanno iniziato con il produrre qualche speciale sulle Nazionali. Un'idea poco originale, sì, ma in genere molto apprezzabile. Fa sempre piacere a tutti vedere le grandi gesta del passato; interessante un paragone con i campioni del presente. E cosa c'è che non funziona, direte voi? Semplicemente tutto, a partire dal format (un video con sequenza di immagini) passando per i contenuti. Su questi, io, non transigo.

Ecco allora il primo grande strafalcione di rosa vestito. "I grandi "fucilieri" brasiliani": Roberto Carlos e David Luiz. Dai, ma stiamo scherzando? Vogliamo davvero paragonare un grande specialista sui calci piazzati, l'inimitabile Roberto Carlos, con David Luiz? Chiunque abbia fatto questa scelta, a mio parere, di calcio ne capiva poco. O forse non ha mai visto giocare Roberto Carlos, questo spiegherebbe tutto.
Giusto per dare una mano ai colleghi di Milano e ricordare a tutti noi la grandezza del terzino carioca, riprendo un vecchio pezzo del mio blog, "il sinistro divino di Roberto Carlos" e condivido un video con alcuni suoi goal.



Dulcis in fundo faccio notare un dato alquanto sostanziale. I goal di David Luiz con la maglia del Brasile latitavano fino all'altro ieri, quando ha trovato il primo acuto, anche un pochino casuale. Niente male per un "fuciliere".

Dopo il paragone fra il divino Roberto Carlos e lo stopper di Diadema, la mia attenzione è catturata da un altro grande tocco di professionalità. La rosea mette a confronto David Trezeguet e Olivier Giroud, "bomber d'oltralpe". Ora, non so come la vediate voi, ma io penso che la differenza che intercorre fra i due sia come quella che c'è fra il giorno e la notte. David Trezeguet è stato un centravanti fenomenale, di una cattiveria impressionante sotto porta. Nesta, non proprio un difensore qualunque, lo ha definito "il giocatore più difficile da marcare in area di rigore". Di Giroud, a meno di smentite, nessuno ha mai detto nulla di simile.
Non parliamo di un giocatore scarso, per carità, ma nemmeno di un campione. Trezeguet non solo ha vinto tutto a livello di club, ma è stato il vero protagonista della grande Francia. Ha vinto Mondiale ed Europeo, ha sfiorato il bis nel 2006 (regalando proprio lui il Mondiale all'Italia) ed ha uno score pazzesco: 66 reti con tutte le selezioni nazionali francesi.
Giroud, che Wenger sta pensando di sostituire all'Arsenal, è invece un ariete d'area di rigore. Utile ma non formidabile. Fino ad ora ha realizzato 9 reti con tutte le selezioni nazionali, e a 27 anni non credo abbia velleità di eguagliare David.
Un paragone più calzande, credo, sarebbe stato quello con Karim Benzema, peraltro anche un anno più giovane del Gunner.
Ma chi sono io per suggerire a dei professionisti come i giornalisti della Gazzetta... i loro speciali, però, son davvero scadenti. Concettualmente e giornalisticamente parlando, ovviamente.

29 giugno 2014

Mondiali2014: la banda Cafeteros spaventa il Brasile

E' Colombia-spettacolo al Mondiale. L'ho detto più di un anno fa, questa squadra può fare grandi cose. Non c'era alcun dubbio che l'Uruguay, orfano del suo leader, non avrebbe avuto alcuna speranza. E infatti i Cafeteros hanno dominato in lungo e in largo, spaccando la difesa celeste con le accelerazioni degli esterni e le imbucate di James Rodriguez, un numero 10 fantastico. I quarti di finale, risultato storico per i sudamericani, sono strameritati e francamente penso che non sia così utopistico pensare di vederli arrivare fino in fondo. La squadra ha tutto davvero: una difesa solida, un centrocampo sostanzioso, due esterni spaventosi, un attacco formidabile. Cos'altro si potrebbe volere?
All'indomani dell'infortunio di Falcao più di un dubbio si è insinuato negli addetti ai lavori. "E' una buona squadra, ma senza Falcao non trovereanno la via del goal". Mai fare i conti senza l'oste, Falcao era ed è un leader per questa Colombia, ma James Rodriguez e Jackson Martinez non hanno molto da invidiargli. Quest'ultimo, partito in sordina, è deflagrato contro il Giappone, realizzando la prima doppietta della storia colombiana in un Mondiale. James, l'attuale capocannoniere del torneo, si è invece imposto come leader fin da subito. Compagno al Monaco proprio di Falcao, si è preso la squadra sulle spalle e ha iniziato a dare spettacolo con giocate e reti sopraffine. Sua la più bella del Mondiale, proprio nel 2-0 all'Uruguay. Stop di petto fuori dall'area di rigore e palla calciata al volo, prima che rimbalzi a terra con il mancino. Una conclusione secca, precisa e imparabile. Muslera la sfiora quel tanto che basta perchè sfiori la traversa interna, rimbalzi a terra e s'insacchi in rete. Un goal fantascientifico di un giocatore pazzesco, classe '91 e destinato ai maggiori palcoscenici del calcio internazionale.

In Europa c'è ancora qualcuno che si stupisce, in Colombia ed Argentina no. James Rodriguez è stato il più precoce giocatore della storia per moltissimi aspetti. Figlio dell' ex calciatore professionista Wilson Rodriguez, mezzala titolare della Nazionale che disputò il Mondiale Under-20 del 1985, James inizia la sua avventura nel calcio vero a 12 anni. Se lo litiga mezza Colombia e alla fine se lo aggiudica l'Evingado, squadra con cui debutta e con cui si guadagna la prima maglia della Nazionale Under-17.
Nel giro di pochi anni è asta in Sud America per lui, la spunta il Banfield che lo porta in Argentina a 17 anni. Giusto il tempo di diventare il più giovane straniero della storia a debuttare in Primera Division ed ecco un nuovo record. Nel 2009 è già titolare indiscusso e leader del Banfield, a sorpresa campione d'Argentina per la prima volta nella sua storia. Il resto è storia nota, con il suo passaggio al "solito" Porto e l'investimento del Monaco per farne una delle colonne del nuovo ciclo monegasco. Ora che anche Carlos Valderrama l'ha nominato a "Pibe" erede, nulla lo può fermare.

Insomma, il Brasile non può dormire sonni tranquilli. Lo sapete, questo Brasile io non lo amo per nulla, rappresenta l'antitesi di tutto quello che so e che amo della Seleçao. Anche ieri, contro il Cile, avrebbero meritato di uscire. La traversa di Pinilla, colpita al 119', grida ancora vendetta; i miracoli di Julio Cesar, in partita e durante i rigori, hanno tenuto a galla una squadra poco viva. Davanti il solo Neymar fino ad ora è bastato, anche se contro la Roja non ha trovato la via della rete. Ma basterà per sempre?
Io non credo, ma quando il Brasile scende in campo nella sua terra è difficile non pensare che sia favorito.

28 giugno 2014

Italia, come uscire dall'impasse Mondiale

I vizi capitali sono i principali desideri dai quali tutti i peccati traggono origine:
La superbia, o per meglio dire l' irrefrenabile di essere superiori, fino al disprezzo di ordini, leggi, rispetto altrui.
L'avarizia, o per meglio dire la scarsa disponibilità a donare ciò che si possiede.
La lussuria, o per meglio dire il desiderio irrefrenabile del piacere .
L'invidia, o per meglio dire la tristezza per il bene altrui, percepito come male proprio.
La gola, o per meglio dire l'abbandono ed esagerazione nei piaceri.
L'ira, o per meglio dire l'irrefrenabile desiderio di vendetta.
L'accidia, o per meglio dire il torpore malinconico nel compiere opere di bene.

Io non sono mai stato un credente, né mai lo sarò. Ma quando mi son trovato davanti all'opportunità di dire la mia sui comportamenti di alcuni giocatori della Nazionale, beh i sette vizi capitali mi sono venuti in mente subito. Datemi pure del monotono, ma io la premiata ditta Cassano-Balotelli non la voglio più vedere con la maglia della Nazionale. In molti adesso tendono a sottolineare come in realtà non sia loro la responsabilità del fallimento italiano, e mi sta bene. Concordo nel dire che il più grande responsabile sia Prandelli, che aveva il dovere e la responsabilità di scegliere persone diverse, di puntare su altri giocatori fin dal giorno successivo all'umiliazione patita dalla Spagna. E' vero, e fortunatamente il commissario tecnico ha avuto il buon gusto di dimettersi, nella speranza che non ci sia uno di quei ritorni in sella che tanto piacciono ai rotocalchi d'informazione. Anche perchè andare avanti con uno 0-0 striminzito e poi, probabilmente, perdere contro la Colombia non avrebbe reso il nostro Mondiale soddisfacente. Quindi, meglio così.

Silurato Prandelli, ora è il momento di far piazza pulita anche in campo. Balotelli e Cassano si sono dimostrati dei piantagrane sopravvalutati, incapaci di dare un valore aggiunto al progetto azzurro. Se penso al linciaggio mediatico patito da Del Piero dopo Euro2000, da Totti, da Buffon prima di Germania2006 o da Bobo Vieri per le sue dichiarazioni fuori dalle righe, rabbrividisco.
Ci troviamo di fronte ad un ragazzo, Cassano, che circa 15 anni fa ha dimostrato all'Italia intera di avere un talento. Passavano le stagioni ed il dono che aveva ricevuto si affievoliva; di contro aumentavano a dismisura le sue scenate. Quelle che in gergo sono conosciute come "cassanate" altro non sono che espressioni caratteriali che poco si confanno ad un gruppo con pretese di vittorie. E non è un caso se a Roma è stato isolato, completamente. Francesco Totti, che gli faceva da chioccia, lo ha lasciato nel suo brodo e ha fatto in modo di allontanarlo. Stessa cosa al Real Madrid, dove è riuscito ad inimicarsi persino Fabio Capello, padre severo con tutti e stranamente accondiscendente con Antonio. Poi il rilancio a Genova, sponda Sampdoria. Un rilancio prevedibile, perchè i mezzi tecnici li ha sempre avuti. Semplicemente deve trovare il gruppo giusto in cui esprimerli, ed una compagine di medio livello in cui sono gli altri a mettersi al suo servizio è l'unico posto adatto a lui. Milan ed Inter non rispecchiano questa descrizione; tanto meno la Nazionale di calcio italiana, che ha anche una storia da salvaguardare.

Mario Balotelli è invece esploso in punta di piedi. Non arrivava dalla provincia ma è riuscito ad imporsi con la maglia di un'Inter che, all'epoca, vinceva tutto. Se vogliamo qualcosa di ancora più difficile per un giovane, a cui colpi e fisico non sono mai mancati. La stabilità di Mario è durata ben poco, sono bastati l'incontro con Josè Mourinho e qualche fischio di troppo da parte di San Siro per fargli perdere la testa.
Non è andata meglio in Inghilterra, dove la stampa è ancora meno tenera che nel Bel Paese. Nemmeno il rendez-vous con il mentore Mancini è servito per fargli mettere la testa a posto e pensare alla sua carriera, giocando a pallone e vivendo la sua vita serenamente. E così, fra scherzi, scandali e risse, Balotelli torna in a Milano, sponda rossonera, dove è ben lontano dal trovare la pace.
Incapace di fare gruppo e di tenere la bocca chiusa, in spogliatoio o via social network, Balotelli sta letteralmente bruciando un talento cristallino unito ad un fisico pazzesco. Un peccato, in primis per lui, in secundis per il suo club e per l'Italia. Incapace di accettare le critiche e sempre pronto a sfuriare, contro opinionisti tv, allenatori o compagni, rende evidente che uno così non potrà essere utile alla causa.

Enrico Turcato, dalle colonne di Eurosport, ha scritto su Mario:
A 24 anni c’è l’obbligo di tirare un bilancio. E l’analisi, chiara e lucida, ci dice che Balotelli non è un campione. Vero, sono stati soprattutto i media che lo hanno elevato a simbolo del rinnovamento italiano. Ma lui ci ha giocato e grazie alla visibilità che i mezzi di comunicazione gli hanno fornito, si è arricchito ed è diventato un personaggio di fama mondiale. E quindi ora è giusto che si prenda le sue responsabilità e capisca che gli anni “buttati” cominciano ad essere troppi. E che chi ha provato con pazienza ad aspettarlo, ora si è veramente stancato.

L’ATTEGGIAMENTO INDISPONENTE – Strafottente, con quel fare da “essere superiore”, da chi pensa di aver sempre e comunque ragione. In campo non corre come dovrebbe. La sensazione è quella di non dare mai tutto quello che ha.

NEI GRANDI APPUNTAMENTI FALLISCE SEMPRE – In Champions League mai decisivo. Al Mondiale esce sconfitto. E una doppietta in semifinale all’Europeo non può durargli da paracadute in eterno.

TROPPI CARTELLINI GIALLI – Due in tre partite in questo Mondiale. Avrebbe saltato comunque gli ottavi di finale per squalifica. Ne ha presi 13 in totale in stagione con il Milan, spesso per proteste o litigi. 10 lo scorso anno tra Premier e Serie A. Troppi per chi i cartellini gialli dovrebbe farli prendere ai difensori.

VIENE ABBANDONATO DA TUTTI – All’Inter era un corpo estraneo, pur vincendo la Champions con Mourinho. Al City è riuscito a bisticciare anche col mentore Mancini. Ieri, da solo in panchina, è sembrato essere nuovamente solo. Se non riesce a stringere rapporti solidi con i compagni un motivo ci sarà.

DICE SEMPRE LA COSA SBAGLIATA AL MOMENTO SBAGLIATO – Quel Tweet dedicato alla regina d’Inghilterra prima della sfida al Costa Rica è sembrato fuori luogo. Le sue dichiarazioni sembrano spesso fuori luogo. A volte è meglio tacere.

NON SI ASSUME MAI LE PROPRIE RESPONSABILITÀ - “Non capisci niente di calcio”, aveva detto a Marocchi (Sky Sport) dopo una critica in un post partita. Mai umile, mai auto-critico, caratteristica che permette spesso ai campioni di capire gli errori e migliorare.

FISICO DA GRANATIERE, MA SPESSO PER TERRA – L’immagine a torso nuodo dopo la doppietta alla Germania ne fotografa la potenza fisica. Balotelli avrebbe tutto per essere un gigante, uno di quelli a cui non porti mai via la palla. In realtà simula troppo e va giù ad ogni contrasto.

NON RIESCE A GESTIRE LA VITA PRIVATA – L’abilità di chi sta ad alti livelli per anni è anche quella di scindere la vita privata da quella professionale. A meno che tu non sia Maradona, ma non sembra questo il caso. Se poi nella vita privata ne combina una per colore, non si deve lamentare se i giornali lo prendono di mira.

NON FA MAI GRUPPO - Ieri se ne è andato via dallo spogliatoio senza nemmeno aspettare il saluto di Pirlo, che voleva ringraziare il gruppo per l’ultima gara in azzurro. Non si fa. In generale preferisce sempre sé stesso agli altri e così, gli altri, finiscono per scaricarlo in fretta.

CATTIVO ESEMPIO PER I GIOVANI – Simbolo dell’integrazione culturale italiana, ma mai vero esempio in campo. Vorreste che un vostro figlio avesse come idolo un giocatore che si comporta sempre in questo modo? Noi, francamente, no.

Ribadisco, e chiudo. Balotelli e Cassano non sono gli unici e soli responsabili del fallimento italiano, ma mi auguro di non vederli più con la maglia della "mia" Italia. La Nazionale è un bene di 60 milioni di italiani, chi indossa quella maglia ha un solo grande onere: il rispetto, della maglia, dei compagni e dell'allenatore. Nel calcio vince la squadra e perde la squadra.

27 giugno 2014

L'eterno dilemma: Messi o Maradona?

Lionel Messi è un campione assoluto, su questo non ci sono dubbi. Anche i più diffidenti si sono da anni dovuti arrendere alla realtà dei numeri, dei goal, dei successi. L'argentino è un giocatore straordinario, umile ed in possesso di doni che solo pochissimi fortunati ricevono da madre natura.
Eppure il tormentone su Messi non finisce mai e verte sempre intorno ad un solo e topico argomento: Diego Armando Maradona. Ecco, Diego è una figura mistica nella storia del calcio mondiale. La sua aura di ribelle ed anticonformista, unita ad una fantasia calcistica senza pari, hanno fatto del numero 10 "el dies", ovvero il solo e unico numero 10.
Giorni fa gli amici della redazione di Fantagazzetta hanno chiesto a me e a tutti i redattori un parere. La domanda, annosa e puntuale, era: Messi ha raggiunto Maradona?
Il 73% ha risposto "no", per svariate e valide ragioni. Il mio piccolo contributo è stato questo:
"Sì. I numeri e la longevità sono dalla parte di Leo, a cui manca solo l'acuto Mondiale per scrollarsi di dosso lo scomodo paragone. Maradona aveva più estro e fantasia, era capace di infiammare le folle, Messi è il prototipo del campione moderno, capace di fare la differenza sempre. Resta il dubbio di non aver visto Diego al massimo della forma e lontano dai vizi".

Alla luce del girone Mondiale vorrei contestualizzare e approfondire la mia risposta, per dar modo a chiunque di riflettere su questa tematica.
In primis penso che un paragone di questo tipo sia anacronistico. Un calcio diverso, un'epoca diversa, calciatori completamente diversi, in campo e fuori. Maradona è stato catapultato sui palcoscenici mondiali in un periodo ricco di campioni, probabilmente una delle epoche più floride della storia del calcio. Era in possesso di una tecnica impareggiabile, un carattere fortissimo e non aveva paura di nulla. Fisicamente, quando stava bene, era straripante. Lontanissimo dagli scultorei atleti odierni, Maradona aveva una potenza impressionante nelle gambe, tale da produrre uno scatto bruciante. Una qualità fondamentale in un calcio come quello di metà anni '80, fatto di ritmo lento e improvvise accelerazioni. I ritmi atletici erano decisamente più bassi, si correva meno, in termini di quantità e intensità; di contro i difensori erano più rudi, arcigni. E Maradona li soffriva tremendamente, tanto da non riuscire a incidere come avrebbe potuto quando stretto da una ferrea marcatura a uomo. Gentile, con le buone e le cattive, nel Mondiale spagnolo lo annientò; così come Franco Baresi e Jurgen Kohler nel corso di Italia '90.
Diego è stato un giocatore formidabile, a mio avviso il più estroso e fantasioso che possa esistere. Ha fatto dei goal così pazzeschi da non poterci credere, la stragrande maggioranza dei calciatori goal del genere non riesce nemmeno a pensarli. E non alludo alla "mano de Dios" o alla serpentina contro l'Inghilterra, ma a goal quali la punizione da dentro l'area contro la Juventus o i ripetuti goal da centrocampo, un misto di follia e coraggio che solo un grandissimo campione può avere. Farne uno è un caso, farne tanti significa essere dei numeri uno.

Leo Messi è invece figlio del calcio moderno, fatto di un'intensità ed un atletismo spaventosi. Le capacità atletiche dei calciatori si sono evolute, trasformandoli in macchine. I giocatori sono oggi più simili ad atletici olimpici, nel corpo e nelle capacità fisiche. La preparazione atletica è diventata parte integrante della vita del calciatore, che segue anche un regime alimentare adeguato. I risultati sono sotto gli occhi di tutti, muscoli scolpiti, velocità impressionante, resistenza da corridori.
Messi ed il suo gemello Ronaldo sono perfetta espressione di questo nuovo calcio, combinando le capacità tecniche dei grandi del passato con la preparazione atletica odierna. Le partite sono veloci, frenetiche; i contrasti sempre più frequenti e vigorosi. Gli attaccanti, però, sanno tener botta. Non sono più "vessati" dai rudi centrali avversari, le prendono e le danno. Tutto questo non per 20-30 partite l'anno, come negli anni '80, ma per 50-60. Il logorio fisico è pertanto accentuato vistosamente.
Nonostante tutto Messi, a soli 27 anni, ha polverizzato ogni record. Lo ha fatto in termini di vittorie di squadra e acuti personali, incantando il mondo con giocate sopraffine. E' vero, Maradona aveva forse una scintilla di genialità maggiore, ma la continuità e la maturità di Messi è senza eguali. Il ragazzo di Rosario è un martello, implacabile. I suoi numeri fanno sapvento: 17, 16, 38, 47, 53, 73, 60 e 41 reti solo con il Barcelona nelle ultime 8 stagioni sportive. Ma vi rendete conto, 73 goal in una stagione di 60 partite. Qualcosa di astronomico anche solo a pensarlo, nemmeno a livello giovanile si riescono a raggiungere questi numeri. Il tutto condito da un Palmares da far venire male al cervello.
I detrattori gli imputano di esser stato fino ad ora poco decisivo in Nazionale, una verità molto discutibile. Leo ha infatti oggi realizzato 42 reti in 89 presenze, 8 reti più di Maradona con 2 presenze in meno. Ha vinto un Mondiale Under-20 e un'Olimpiade. Alla sua stessa età Maradona aveva fatto meno goal e vinto lo stesso numero di trofei, portando l'albiceleste in trionfo a Messico '86. Se Messi dovesse vincere questo Mondiale avrebbe eguagliato le vittorie in Nazionale di Diego, cannibalizzando letteralmente i suoi primati.

Un altro piccolo dettaglio, che tanto piccolo non è, risiede nei compagni di squadra. L'Argentina di oggi è una squadra solida, ma non è più forte di quella di Messico '86. L'ultima Argentina campione del mondo aveva sì Maradona, ma accanto a lui fuoriclasse del calibro di Batista, Ruggieri, Burruchaga e Valdano. Campioni guidati in panchina da un grandissimo come Bilardo, capace di portare la sua nazione in due finali consecutive alla Coppa del Mondo. Messi sta giocando con campioni del calibro di Di Maria e Aguero (fresco d'infortunio), ma anche con modesti interpreti del calcio come Gago, Maxi Rodriguez e Campagnaro sotto la guida tecnica di Sabella, su cui le polemiche si sono sprecate numerose.
Tutto questo per dire che vincere un Mondiale è un'impresa incredibile, che ti rende in automatico una leggenda, che tu sia Maradona o Buffon.
L'aura che si è creata intorno a Maradona è tipica di tutti quegli eroi tormentati di cui il mondo della musica e della letteratura è zeppa. Sono loro i più amati, il proibito attira ed affascina l'uomo. La biografia di Maradona è un libro sensazionale, coinvolgente. I racconti monotoni di un atleta come Messi non saranno mai entusiasmanti come le avventure folli di Diego, ma questo non significa che uno sia automaticamente meglio dell'altro.
Ognuno di noi avrà sempre la sua preferenza, per l'uno o per l'altro. La domanda di base è fuorviante, perchè la risposta vera e giusta sarebbe solo "due campioni immensi, diversi com'è giusto che sia". E sono loro due stessi ad autocelebrarsi vicendevolmente. Diego dice che Messi è il più grande di tutti; Leo che Maradona è inarrivabile.
La verità è che siamo stati fortunati a vederli giocare, entrambi.

26 giugno 2014

Mondiali2014: le lacune tattiche di Prandelli, preludio di una sconfitta inevitabile

L'argomento del giorno è ancora sempre e solo uno, l'eliminazione dell'Italia dal Mondiale brasiliano. Sul web, grazie alla dritta di un amico, mi sono imbattuto in un'interessante analisi tattica, tratta da ultimouomo.com.

"Come annunciato l’Italia gioca 3-5-2 con Immobile-Balotelli come coppia d’attacco. La presenza di due attaccanti centrali suggerisce prudenza a Tabárez che non vuole accettare situazioni di parità numerica al centro della difesa e pertanto schiera la propria squadra, anch’essa con tre difensori centrali, disegnando così in campo due squadre disposte a specchio. Gli uomini sono gli stessi del 4-3-1-2 visto contro l’Inghilterra, ma Cáceres fa il centrale di sinistra, Gonzales l’esterno destro e Lodeiro la mezzala destra. In campo si generano delle contrapposizioni ben definite: le mezzali si affrontano tra loro, così come gli esterni.
In fase di non possesso l’Uruguay si dispone tranquillamente nella propria metà campo, con Cavani che si abbassa su Pirlo. Il piano di gioco è quello solito: aspettare, aspettare, aspettare. In second’ordine provare qualche ripartenza (lunga, vista la zona media di recupero palla dell’Uruguay) con Suárez e Cavani. Non rischiare nulla. Eventualmente, se necessario, provare a forzare nell’ultimo quarto d’ora.
L’atteggiamento dell’Uruguay è talmente prevedibile che a fine partita i suoi giocatori avranno effettuato 369 passaggi quando la media delle due precedenti partite era 371, di cui 276 corti e 70 lunghi (287 e 65 la media nelle prime due partite). Quasi esattamente gli stessi numeri.
L’errore fondamentale dell’Italia è quello di giocare la partita dell’Uruguay. Di accomodarsi sui ritmi e sul disegno progettato da Tabárez. Le scelte dovevano essere estreme: costringere gli uruguaiani a fare loro la partita o, al contrario, giocare un match per vincere, spaventando gli avversari e forzandoli a una partita a ritmi più elevati. Invece l’Italia non ha scelto niente e l’apparente controllo della partita si è rivelato una pura illusione. L’Italia è stata apparentemente in controllo del match ma, nonostante il cambio di modulo e di uomini, la pericolosità degli azzurri è stata praticamente nulla. Come contro il Costarica.
La tanto invocata difesa a tre ha funzionato in fase di non possesso: Barzagli, Bonucci e Chiellini sono sempre stati in superiorità numerica contro Suárez-Cavani e tutto sommato le due occasioni avute da Suárez, entrambe parate da Buffon, possono essere considerate un equo tributo da pagare alle capacità del duo d’attacco dell’Uruguay. Il 3-5-2 ha però del tutto fallito in fase di possesso palla, non creando alcun pericolo al portiere uruguaiano Muslera.
Ancora una volta, nonostante il cambio di modulo, i difetti sono stati quelli visti in questo Mondiale: squadra che attacca con pochi uomini, dal baricentro troppo basso e con troppi uomini che si pestano i piedi in zona mediana.
Contro la pressione di Suárez e Cavani il rombo arretrato costituito da Barzagli, Bonucci, Chiellini e Pirlo è sempre in superiorità numerica e può gestire le fasi iniziali della manovra. In particolare grossa libertà è concessa a Barzagli e Chiellini.
Nonostante la superiorità numerica i movimenti di smarcamento di Verratti sono sempre in prossimità di Andrea Pirlo e mai in zona avanzata. E se Verratti gioca un’ottima partita da un punto di vista tecnico, rimangono forti interrogativi sull’utilità tattica della sua interpretazione del match. Sarebbe stato utile 20 metri più avanti da subito, anche per la possibilità di offrire una linea di passaggio in avanti al rombo arretrato, abbassando oltretutto la posizione del pericoloso Rodríguez. Il risultato è che l’Italia ha quasi sempre 4 giocatori dietro o sulla linea del pallone : il baricentro si abbassa, il numero di uomini sopra la linea della palla è troppo basso (oltretutto Darmian e De Sciglio sono, giustamente, sempre aperti e quindi non giocano “tra le linee”) e Balotelli approfitta degli spazi non coperti dai centrocampisti per assecondare la sua voglia di girare al largo dai difensori uruguaiani e lasciare al proprio destino, tra Giménez, Godín e Cáceres, Ciro Immobile. Con Verratti a giostrare in posizione arretrata, le possibilità di giocare la palla avanti e contemporaneamente alzare tutta la squadra rimane essenzialmente nelle mani dei movimenti della coppia di attaccanti. Come già detto Balotelli gioca lontano della linea difensiva avversaria e le qualità dei suoi smarcamenti è, come sempre, davvero povera. Oltretutto, se sorpassato dal pallone nella manovra offensiva, l’attaccante azzurro non accorcia verso la porta avversaria, lasciando Immobile a coprire l’intero fronte offensivo
".

L'analisi è praticamente perfetta, la condivido in toto. Credo però manchi un elemento fondamentale per spiegare le nostre difficoltà. Tralasciando l'aspetto mentale, lacuna tanto evidente quanto pesante, la scelta del 3-5-2 è stato un ripiego di comodo. Come ho avuto modo di scrivere prima del calcio d'inizio, adottare questo scacchiere tattico ha significato per Prandelli mettere a nudo tutte le sue debolezze come allenatore. Nel momento del bisogno si è affidato al blocco-Juve in difesa, sconfessando la sua unica e storica idea tattica (la difesa a 4 ndr), e cosa ancor più grave ha buttato nella mischia Immobile. Condivisibile l'impiego del capocannoniere della Serie A, meno i modi e le motivazioni. Dopo averlo escluso perchè bollato come "incompatibile" con Balotelli, è stato schierato titolare per le pressioni di stampa e paese. Una scelta che denota l'incapacità di fare il commissario tecnico della Nazionale, dove preferisco uno che sbaglia con la sua testa ad uno che prova a mettersi al riparo dalle critiche. E la "sfuriata" in sala stampa dopo il match, con quel patetico discorso sulle tasse pagate, è l'emblema di quanto sto affermando.
Tornando al nostro modulo, però, c'è un aspetto che nell'analisi tattica sopra riportata non viene sufficientemente enfatizzato. Fare l'esterno nel 3-5-2 è probabilmente uno dei ruoli più duri e difficili che esista. Per farlo bene occorre avere corsa, polmoni, gambe e tanta duttilità mentale. L'esterno deve infatti conoscere alla perfezione i movimenti difensivi, scalando in copertura in fase di non possesso, e quelli offensivi. Due terzini non classici non riusciranno mai a fare questo tipo di lavoro.

Tant'è vero che Darmian e De Sciglio hanno caratteristiche abissalmente diverse da Asamoah e Lichtsteiner, aspetto che rende del tutto impossibile paragonare lo scacchiere tattico dell'Italia a quello della Juventus di Conte. I terzini schierati da Prandelli sono due ottimi giocatori, bravi sia in fase di difesa che in fase di spinta. Non hanno però nel loro dna le caratteristiche di forza e dribbling richieste per fare l'esterno in questo tipo di modulo tattico. Asamoah è una forza della natura, corre per tre ed ha una potenza impressionante nel saltare l'uomo. Con il suo scatto bruciante crea la superiorità numerica; giocando a testa alta sa sempre se mettere il pallone raso terra o alto, cercando la testa dell'attaccante. De Sciglio, invece, è il classico esterno di una difesa a quattro. Meticoloso nelle chiusure, bravo nelle diagonali e propositivo quanto basta. La sua abitudine a crossare alto, molto spesso dalla trequarti, è emersa con forza. De Sciglio è abituato ad arrivare in corsa sul fondo e buttare la palla al centro dell'area di rigore, dialogando spesso con il centrocampista esterno. Qualcosa di completamente diverso rispetto ai compiti di un fluidificante che solca l'intera fascia.
Darmian, più a suo agio nel ruolo, è stato adattato nel tempo da Ventura. Giocare in una squadra che si difende e riparte veloce è molto diverso rispetto ad una che deve imporre il proprio gioco. La corsa e la fase difensiva non gli mancano, ma di nuovo non ci siamo in quanto proposizione. Lichtsteiner dialoga con i compagni, salta l'uomo in velocità, è sempre pronto all'uno-due e, soprattutto, si lancia negli spazi. I suoi tagli nel cuore dell'area di rigore hanno fatto le fortune di Conte, con la classica palla telecomandata di Pirlo che trova lo svizzero davanti al portiere, pronto a calciare verso la porta. Tutte qualità che mancano al seppur ottimo Darmian, anche lui imbrigliato nel classico schema del cross dal fondo.
Il peso offensivo della manovra, quindi, risulta inevitabilmente compromesso. Parliamo di 12 reti in dote ai due esterni di Conte contro le 0 di De Sciglio e Darmian, numeri che fanno riflettere.

L'altra macro differenza tattica, a mio avviso, risiede nelle caratteristiche dei centrocampisti. Verratti-Pirlo-Marchisio contro Pirlo-Pogba-Vidal. Giocatori diametralmente opposti, nelle caratteristiche e nel gioco. A partire dallo stesso Pirlo, chiamato a fare il vertice basso in bianconero ed il centrale di centrocampo con l'Italia. Giocando dieci metri avanti, si pensava, la qualità della manovra sarebbe aumentata. Errore madornale, perchè si toglie spazio alle mezz'ali ed inventiva a Pirlo, i cui lanci non possono trovare gli esterni (per il discorso fatto poc'anzi) nè l'inserimento del centrocampista. Unica alternativa la verticalizzazione per Balotelli o Immobile, non proprio in giornata di grazia.
Le caratteristiche di Vidal e Pogba, poi, sono certamente differenti a Verratti e Marchisio. Lo dico per fisicità, tipologia di gioco e buon senso. Parliamo di due splendidi recupera palloni capaci di inserirsi e concludere, tanto da dentro quanto da fuori area. Solo Marchisio ha caratteristiche vagamente simili a uno dei due, Verratti è uno splendido giocatore ma va messo nelle condizioni di giocare a modo suo. I campioni sanno coesistere, va solo trovato il modo di farlo. E' Marcello Lippi a dire: "un grande tecnico non si focalizza su un sistema di gioco, ha solo delle tracce. Dev'esser bravo e capace di far giocare insieme i suoi campioni, mettendoli nelle condizioni di potersi esprimere". Come dire, il contrario di quanto visto nella recente spedizione brasiliana.

L'analisi tattica di ultimouomo.com, poi, continua sulla seconda frazione di gioco. Lì c'è ben poco da aggiungere, i cambi, l'espulsione e la paura hanno portato l'Uruguay agli ottavi di finale e noi sull'aereo per l'Italia, evitando una probabile disfatta con la Colombia di Cuadrado.
"Nell’intervallo Prandelli sostituisce Balotelli con Parolo. Marchisio si sposta nella posizione di mezzala destra, Parolo prende quella di mezzala sinistra e Verratti viene avanzato nominalmente alle spalle di Immobile. Anche Tabárez mette mano alla sua squadra, inserendo Maxi Pereira al posto di Lodeiro: il neo entrato si piazza sull’esterno destro con Gonzales in posizione di mezzo-destro. Ancora una volta l’Uruguay segue logiche originali, abbassando la qualità della squadra sebbene abbia la necessità di segnare un gol.
La mossa tutto sommato sembra rendere più fluido il gioco dell’Italia, con Parolo e Marchisio che in possesso palla si alzano in posizione intermedia occupando lo spazio ai fianchi di Arévalo Rios, impegnato da Verratti, regalando così linee di passaggio a Pirlo e ai tre difensori. E, vista anche la prestazione tattica di Balotelli, la squadra non paga pegno in peso offensivo, perché Immobile, aveva in ogni caso giocato da solo contro tre difensori avversari. In occasione di una palla ricevuta al limite dell’area dell’ex Pescara (finta su due difensori e assist su Immobile in fuorigioco), si intravede la potenziale pericolosità di Verratti più vicino all’area avversaria.
L’espulsione di Marchisio cambia le carte in tavola. Per l’Uruguay è il segno che è ora di provarci e ci prova nell’unico modo che sa e che può: alza la pressione in fase di non possesso per cercare di rubare il pallone prima e in zona più avanzata possibile cercando di innescare velocemente le punte. Tabárez cambia tatticamente la squadra inserendo Stuani al posto di Pereira: è 4-3-1-2 con Cavani colpevolmente allontanato dall’area di rigore per lasciare spazio al neo-entrato come partner d’attacco di Suárez. Prandelli sostituisce uno sfinito Verratti con Thiago Motta, aggiungendo centimetri alla squadra. Ma è l’ingresso di Cassano al posto di Immobile che davvero regala campo all’Uruguay. Cassano è chiamato a occupare il ruolo di unica punta nel 3-5-1 con cui Prandelli ha disposto la squadra dopo l’espulsione di Marchisio. Ma Cassano non è in grado né di tenere palla in quella posizione, né tanto meno di allungare la squadra con movimenti profondi. L’Italia non riesce più ad alzare il baricentro e si consegna a una partita puramente difensiva. L’Uruguay è talmente sicuro di non correre rischi dietro, che a un quarto d’ora dalla fine Godín si sgancia in avanti ad ogni azione offensiva. Perché ormai lo schema è uno solo: fare giungere la palla sull’esterno e da lì metterla in mezzo con i cross.
Ormai delle due cose che avremmo dovuto fare contro l’Uruguay la seconda è saltata: abbiamo assecondato il piano di gioco di Tabárez che è lì dove avrebbe voluto essere: a un quarto d’ora dalla fine, sul punteggio di 0-0 e con 15 minuti davanti in cui forzare l’”episodio”. Anzi, grazie all’espulsione di Marchisio, è pure più avanti. Rimane il primo punto del piano: gestione concentrata e impeccabile degli episodi. E, come si è visto, al minuto 81 della partita anche il primo punto salta. Siamo fuori dai Mondiali
".

25 giugno 2014

Mondiali2014: Italia, una vergogna senza fine

Le colpe di questa esclusione sono tante, nessuno ne è immune. Occorre però capire che il peggior risultato di sempre nel Mondiale è specchio del nostro movimento calcistico, ormai allo sbaraglio. Sotto tutti i punti di vista il nostro calcio trasuda marciume, a partire dai vertici dirigenziali fino all'ultima scuola calcio. Il mio non vuole essere né un discorso qualunquistico né di comodo, ma dobbiamo prendere coscienza di quanto sta accadendo nel nostro calcio.
Nemmeno due mesi fa, a Roma, ci sono stati scontri indicibili in occasione della finale di Coppa Italia. Questa volta, purtroppo, ci è "scappato" il morto. In un paese civile tutto questo non sarebbe tollerato, ma in Italia facciamo spallucce. In primis la partita si è giocata, regolarmente. In barba alle tragedie si è andati avanti a testa bassa, dimenticando ben presto l'accaduto. I giornali non hanno preso posizione, le televisioni hanno rilanciato la notizia quel tanto che bastava per fare audience. Nel mentre un ragazzo moriva e a conti fatti cosa veniva fatto? Nulla. Le tifoserie di Roma e Napoli non sono state punite, le squadre meno che mai. Si è parlato per una settimana di Genny 'A Carogna, nomignolo che faceva vendere rotocalchi, poi tutto dissolto in una bolla di sapone. Nel paese in cui si chiudono le curve per i cori contro Balotelli e contro i napoletani, non si prendono provvedimenti per evitare che i delinquenti diventino padroni dello stadio. Non stupiamoci se padri e figli preferiscono guardare la partita sul divano, spendendo meno e rimanendo nelle civili mura domestiche.

In un contesto così è il minimo che il progetto tecnico sia un fallimento. E la ritengo una fortuna, l'esclusione dell'Italia ci da la possibilità di riflettere e fare piazza pulita. Si deve ripartire da zero, senza i soliti slogan sui vivai e le famiglie allo stadio. Occorre tirarsi su le maniche e fare qualcosa, ma farlo davvero.
Nel mondo multietnico in cui viviamo la risposta non può essere la chiusura delle frontiere, assolutamente. Serve aprire gli occhi e cambiare rotta, insegnando ai nostri ragazzi, italiani o immigrati che siano, la cultura del lavoro e del sacrificio. Sarebbe utile ridimensionare la figura del procuratore, evitando così quella perversa compra-vendita di giovani talenti (spesso africani o sudamericani) che fa tanto tratta degli schiavi. La società dev'essere una scuola, una palestra di vita. E' inammissibile vedere giovani della Primavera atteggiarsi a sportivo arrivato, con il taglio di capelli alla moda ed il braccio appoggiato al finestrino dell'Aston Martin. Testa bassa, umiltà e tanto lavoro, così si diventa campioni. E lo si può essere a 18 come a 25 anni, ma uno sportivo vero vive per fare bene il suo lavoro. Non si pavoneggia nel lusso, va a dormire presto e prepara il suo corpo e la sua mente per la prossima sfida.

Se a tutto questo aggiungiamo un incondizionato amore per l'estero, fin dalla più tenera età, la frittata è fatta.
E' giusto e doveroso criticare il commissario tecnico e i giocatori, autori di un Mondiale imbarazzante, ma pensiamo anche ai nostri club. Praticamente tutte le grandi d'Italia (o presunte tali) hanno giocatori stranieri a comporre l'undici titolare. La Nazionale, di conseguenza, ha poco materiale su cui lavorare, specie se si decide che chi va a giocare fuori, come Pepito Rossi nel passato o Criscito e Santon, non sia degno di nota.
E così ci troviamo di fronte ad un piccolo blocco Juve, decisamente meno qualitativo rispetto alle edizioni passate, ed il nulla più totale intorno.
La Roma, che tanto bene ha fatto quest'anno, gioca con Castan, Benatia, Maicon, Nainggolan, Pjanic e Gervinho; Destro e Florenzi, giovani di prospettiva, sono stati bocciati da Prandelli, De Rossi è l'unico ancora di valore, ma parliamo di un giocatore ormai esperto e navigato. Il Napoli non ha praticamente italiani, in nessuna zona del campo. Reina, Albiol, Fernandez, Hamsik, Inler, Mertens, Higuain, Callejon; Prandelli si è portato dietro "lo scugnizzo" Insigne, che fa panchina in azzurro. E vorrei ben vedere, Mertens e Callejon sono giocatori di uno spessore completamente diverso, Insigne ha qualche numero, va bene per una compagine di medio livello, ma se non trova posto nel Napoli come possiamo pensare lo trovi con l'Italia?
La Fiorentina gioca con Neto, Gonzalo Rodriguez, Savic, Tomovic, Borja Valero, Cuadrado e Mario Gomez. Giuseppe Rossi è stato lasciato a casa, Aquilani è stato portato in gita in Brasile, Pasqual bocciato perchè poco adatto alla difesa a 4.
L'Inter, come sempre, di italiani nemmeno a parlarne. Handanovic, Rolando, Samuel, Nagatomo, Hernanes, Kovacic, Cambiasso, Alvarez, Icardi, Palacio, Milito. Togliamoci pure dalla testa che Ranocchia o D'ambrosio avrebbero potuto portare qualsivoglia valore aggiunto alla Nazionale, trattasi di giocatori normalissimi.
Il Milan, l'unica insieme alla Juventus ad aver fornito veri blocchi alla Nazionale negli ultimi trent'anni, si è smarrito. Mexes, Rami, De Jong, Emanuelson, Constant, Kaka e Taarabt accanto a giocatori modesti come Montolivo e Poli o direttamente scarsi come Abate e Bonera, che mi chiedo cosa ci faccia in Serie A ancora oggi.

E allora ecco l'Italia che ci meritiamo, quella contro cui mesi fa mi sono scagliato. L'Italia dei Balotelli non mi rappresenta. E non perchè una squadra mediocre o perdente, ma perchè priva di valori morali e senso di squadra. Io voglio vedere gente che in campo da tutto, che corre e suda. I Gattuso, i Camoranesi, i Toni del 2006, ragazzi con la fame di vincere, pronti a lottare dal primo all'ultimo istante. Vedere Thiago Motta e Cassano ciondolare boccheggiando, dopo aver messo piede in campo da 30 secondi, è sconvolgente. Di Balotelli non dico più nulla, è un giocatore così piccolo e presuntuoso da non meritare attenzioni. Questo è il materiale umano che Prandelli ha giudicato essere il migliore. A fine partita avrebbe potuto limitarsi a dimettersi e chiedere scusa, come fece Lippi nel 2010. Invece ha perso anche l'ultima occasione per fare una bella figura. Voltiamo pagina e facciamolo in fretta, magari non prendendo Allegri o Zaccheroni come commissario tecnico.

24 giugno 2014

Mondiali2014: Italia, si torna a casa. Giusto così!

Quando ti presenti all'appuntamento decisivo, dopo aver per giunta perso con il Costa Rica, e non fai nemmeno un tiro in porta, meriti di uscire. Non ci sono scuse o giustificazioni che tengano, l'Italia è uscita dal Mondiale con pieno merito. Ha espresso un calcio ridicolo, non è stata in grado di rendersi pericolosa e non ha manifestato alcuna idea. Prandelli, che almeno ha avuto la decenza, è stato il commissario tecnico più disastroso della nostra storia, almeno dal '66 ad oggi.
Una squadra, la nostra, talmente brutta da non meritare commenti, ma uno sfogo lo merita ogni italiano. Abbiamo il diritto di criticare questa compagine insulsa e amorfa, che ha offeso il nostro glorioso movimento calcistico.
Dopo il girone di Sud Africa 2010 ero convintissimo che il fondo fosse stato toccato. Non si può giocare peggio di così, mi sono detto. E invece gli uomini allenati da Prandelli, la cui parentesi in Nazionale rispecchia la sua carriera a livello di club, sono riusciti a ribaltare ogni mia previsione.

Dopo aver chiuso l'Europeo con quattro sberle sonanti (e l'umiliazione di un Casillas che chiede agli arbitri di stoppare il massacro), gli azzurri si presentano in Brasile con più di una incognita. Bastava pochissimo per essere testa di serie, e invece la Svizzera ci ha bagnato il naso. Il tecnico, dopo aver cambiato talmente tanti moduli da far venire il mal di testa pure a un matematico, annuncia le sue intenzioni: difesa a 4. L'Italia si prepara così al Mondiale con una linea al quanto discutibile. Barzagli e Chiellini sono i sicuri titolari, per gli altri posti se la devono vedere Abate, Paletta e De Sciglio. Bonucci, poco adatto alla linea, viene momentaneamente parcheggiato in panchina, Darmian scalza all'ultimo istante i più quotati rivali.
Il centrocampo, che si poggia sul solito Pirlo, è un reparto che fa venire l'angoscia. Marchisio viene come di consueto impiegato in qualsiasi posizione, un leit motiv che ha in un certo qual modo limitato la sua carriera; Candreva è il nuovo che avanza; De Rossi è riciclato davanti alla difesa, quasi una sorta di libero avanzato. Verratti, l'unico vero grande giovane in rosa, per poco non viene lasciato in Italia, riuscendo a salire sull'aereo solo "grazie" all'infortunio di Montolivo. Thiago Motta, mai in discussione, è un punto fermo del commissario tecnico, Dio solo sa cosa ci veda in lui. Gli altri sono nomi inquietanti, del calibro di Aquilani e Parolo. Mai avrei pensato che certi giocatori avrebbero partecipato al Mondiale.
L'attacco è la ciliegina sulla torta. Balotelli è l'inamovibile, nonostante anche i sassi abbiano capito che lui un campione non è. A casa Destro, reo di segnare troppo, Pepito Rossi e Toni, Prandelli chiude il reparto con Cerci e Insigne, nonostante quest'ultimo sia la riserva di Mertens e Callejon, ed il colpo a sorpresa: Cassano. Classe '82, il talento di Bari fa carte false pur di approdare in Brasile, paese il cui clima si confa poco con il suo approccio atletico al calcio.

Così, dopo esperimenti vari e 3 punti contro la più brutta Inghilterra degli ultimi 50 anni, si arriva al match decisivo. Prandelli sconfessa tutte le scelte, ha paura. Sceglie un modulo tattico "sicuro", il 3-5-2 con cui la Juve di Conte ha stravinto lo Scudetto. Purtroppo per il commissario tecnico, però, ha la brillante idea di rivisitarlo con gli uomini a disposizione. Il blocco difensivo è lo stesso, ma gli esterni cambiano radicalmente. De Sciglio non è (e forse non sarà mai) Lichtsteiner, Darmian ha caratteristiche diverse da Asamoah, nonostante sia un ottimo terzino. Il centrocampo è radicalmente diverso, Pirlo non fa il vertice basso ma gioca 10 metri più avanti. Accanto a lui non agiscono Pogba e Vidal, ma Marchisio e Verratti, giocatori completamente diversi. In avanti, poi, Balotelli e Immobile. Il primo ha come sempre fornito una prestazione nervosa e assolutamente insufficiente; il secondo è stato schierato in campo solo a furor di popolo, dietro non c'era alcun tipo di idea.

Pronti-via la partita si rivela come tutti ci aspettavamo, brutta e bloccata. Gli uruguagi sono una squadra solida ma tutt'altro che irresistibile; giocano compatti e lanciano per Cavani e Suarez, due fuoriclasse veri con la palla nei piedi. Noi non siamo in grado di impensierire Muslera, se non con una punizione di Pirlo. La palla è facile, un qualsiasi portiere di terza categoria la respingerebbe, ma l'ex Lazio per poco non la combina grossa. L'occasione è una perfetta metafora della nostra partita, qualcosa che sarebbe potuto essere ma che non è stata. Per il resto solo tanti falli, brutte giocate e tanto nervoso. Balotelli, un baluardo nel commettere errori stupidi, si fa ammonire e si prepara per la doccia.
Nel secondo tempo ci presentiamo con Parolo in luogo dell'attaccante colored, tanto per sottolineare chiaramente il nostro credo: speriamo di pareggiare. Il resto del match è un continuo susseguirsi di sciocchezze, da parte nostra e dell'arbitro.
Marchisio entra in modo deciso sull'ex Palermo Arevalo Rios, un fallo come gli altri. Non per l'arbitro, che estrae un inspiegabile rosso. Dieci minuti dopo Luis Suarez, uno che a Liverpool gode di uno psicologo personale per contenere i suoi attacchi di rabbia, ne combina una delle sue. Si azzuffa con Chiellini e gli morde la spalla, le vecchie abitudini sono dure a morire. L'arbitro non vede e pochi istanti dopo Godin ci punisce.

Usciamo così dal Mondiale, e ce lo meritiamo. L'arbitro ha commesso errori, certo, ma quando perdi in questo modo non ci sono alibi. Prandelli, che nel frattempo ha inserito il più lento essere sulla terra, Thiago Motta, sembra una sfinge. L'ultima intuizione, se si può chiamare tale, è la sostituzione di Immobile per Cassano. Ma come, fuori l'unica punta rimasta per un attaccante lento e compassato? Ebbene sì. Nemmeno il tempo di capire l'accaduto e Godin porta avanti i suoi. Le nostre speranze di pareggio, come prevedibile, non esistono. I giocatori freschi camminano, gli altri sono in totale confusione. La partita si trascina stancamente fino al 96', quando viene sancito il nostro addio al Mondiale. Un saluto compassato, giusto, meritato. Il nostro movimento calcistico è in crisi totale, ci siamo per anni nascosti dietro ai club e ai loro risultati, alla crisi economica del paese, ma non è questa la verità. Non abbiamo coraggio, non siamo in grado di essere la solita squadra. Non siamo l'Italia. Recuperiamo la nostra identità, subito. Per farlo servono misure drastiche, cambiamenti. Spero davvero che tutto questo accada, ma sono perplesso. In Italia facciamo tante parole e pochi fatti, spero di essere smentito.

23 giugno 2014

Brasile2014, la Celeste sulla strada degli Azzurri

Domani è una partita da dentro o fuori, difficile descriverla diversamente. L'Italia ci arriva essendosi complicata la vita, come troppo spesso ci capita. Inoltre, cosa non nuova per noi, abbiamo il vantaggio di avere due risultati su tre. Per tutti sarebbe una grossa occasione, per noi è spesso un'arma a doppio taglio, che ci porta a giocare con il piede pigiato sul freno.
La sconfitta col Costa Rica non l'ho commentata. Ho preferito somatizzare la prestazione prima di riversare parole su di un match che, a distanza di alcuni giorni, mi sembra ancora qualcosa di sconcertante. Il calcio è uno sport cattivo, imprevedibile. Tutti possono perdere con tutti, ecco perchè non bisogna stupirsi così tanto di quanto è accaduto. Incredibile, piuttosto, il modo in cui è maturata questa sconfitta, con una Nazionale irriconoscibile, sotto tutti i punti di vista. Una squadra boriosa e imballata quella di Prandelli, che ha sbagliato approccio alla partita ed è sembrata incredibilmente fuori forma rispetto ai rivali centroamericani.
Ne ho per tutti, pochissimi si sono salvati. Di sicuro non Prandelli, che ha sconfessato il suo sistema di gioco senza motivi. Ma lo scacchiere tattico era lo stesso, diranno in molti, eppure non è così. I due cambi nell'undici iniziale (Abate e Thiago Motta per Paletta e Verratti) hanno infatti stravolto l'Italia, tatticamente e tecnicamente. Dietro, infatti, Chiellini si è spostato al centro della difesa, ruolo che non ricopre più da anni, per fortuna. Non fraintendetemi, Chiellini è di certo uno dei migliori difensori in Italia, ma è anche molto pericoloso. La sua irruenza può giocare bruttissimi scherzi, solo l'arbitro ci ha graziati nel corso della prima frazione di gioco. Abate è stato letteralmente imbarazzante, francamente non mi spiego come uno così possa essere in Nazionale. Non ha alcuna qualità particolare. Un fisico normale, uno scatto nella media (ha perso da tempo la sua rapidità) e un'innata predisposizione all'errore, tattico e tecnico. Riprendendo il giudizio di Eurosport, dopo la partita contro la Fluminense, "Perde Chiquinho sul primo gol, non chiudendo la diagonale. Poi viene saltato da Carlinhos in occasione del secondo gol. Le questioni sono due: o non è proprio in forma o in Nazionale non deve giocare. Noi propendiamo per la seconda". Il suo inserimento, poi, ha spostato sull'altra fascia Darmian, che ha fatto il suo ma che non trovava il cross dal fondo con la stessa semplicità. Ha calciato molto bene verso la porta, ma si vede che non ha confidenza naturale nel mettere il cross dalla sinistra.
Il centrocampo, invece, è letteralmente stato stravolto. Fuori la tecnica e il dinamismo di Verratti, dentro la lentezza e il fisico di Thiago Motta, centrocampista che potevamo tranquillamente lasciare alla madre patria Brasile. Dopo 25' di gara, il buon Motta aveva le mani sui fianchi e i pantaloncini arrotolati sulle gambe. Segnali poco rassicuranti per uno che dovrebbe correre più degli altri, per recuperare il pallone e riproporre l'azione.

La squadra non girava, si vedeva subito. Eppure l'occasione buona l'ha avuta Balotelli, che con un pallonetto maldestro ha calciato il pallone fuori. Un campanello d'allarme per Prandelli? Assolutamente no, nessuna occasione per Immobile.
Dopo il goal del Costa Rica il capolavoro del commissario tecnico. Fuori Motta e dentro Cassano, a cui non manca la tecnica. Peccato si giochi in Brasile, sotto quaranta gradi ed un'umidità pazzesca. Risultato scontato come un 3x2 al Carrefour, Cassano ha dimostrato di avere solo il piede. La sua prestazione, dal punto di vista atletico, è stata disastrosa. Non si è mai proposto con convinzione e non ha mai superato l'uomo puntando la porta, ma solo in orizzontale. Balotelli, che nel frattempo si innervosiva come  ai bei tempi, non veniva sostituito ma supportato. Dentro Cerci e Insigne, due che nel 2006 non avrebbero visto lo stadio nemmeno con il biglietto da spettatore. Il napoletano, scelto al posto di un pimpante Destro, ha avvicinato il record di fuorigioco di Inzaghi. In 30' praticamente nessuno spunto ed un solo tiro alle stelle. Cerci, mai in dubbio per la convocazione, ha vivacchiato sulla sinistra. Saltava in velocità il primo uomo, a centrocampo, per poi perdersi in un bicchier d'acqua. Uno così il salto di qualità non lo farà mai fare, almeno non all'Italia.

Ecco perchè ci auspichiamo dei cambi, se non negli uomini almeno nella mentalità e nella corsa. Questo è il Mondiale di chi corre, chi suda e non molla. La Francia, ad esempio, sta giocando alla grande con uomini francamente mediocri. Sta sopperendo alla mancanza di Ribery, non uno qualunque, dando tutto dal punto di vista atletico.
E allora dentro chi corre e ha entusiasmo, magari togliendoci dalla testa l'idea di imbottire il centrocampo di uomini e lasciare la davanti il solo Balotelli, che non è uno che gioca per la squadra. L'Uruguay è una compagine forte, ma di sicuro non impenetrabile. Davanti è pericolosa con Suarez e Cavani, che sono dei campioni, ma dietro è battibile. Di certo, però, non possiamo sperare di segnare giocando come contro il Costa Rica o l'Inghilterra. I jolly di Pirlo e Marchisio o il colpo di testa di un difensore, infatti, non sono alternative offensive valide. E nel frattempo Ciro Immobile sta seduto in panchina a pensare alla Germania, dove non credo che Klopp rinuncerà con tanta facilità al bomber campano.

22 giugno 2014

Brasile2014: Klose dell'altro mondo


Yokohama, 30 Giugno 2002. Sul campo dello stadio nipponico, per la finale di uno dei mondiali più strani della storia, s'incontrano Brasile e Germania. Una grande classica del calcio internazionale, ma più che altro l'occasione di vedere uno contro l'altro due cannonieri straordinari. Da un lato il capocannoniere del torneo, quello che è ancora oggi la prima punta più forte che io abbia mai visto. Sapete benissimo di chi sto parlando, sarete quasi annoiati dagli elogi che quotidianamente gli riservo, ma Ronaldo è stato davvero il solo e unico Fenomeno. Dall'altro lato del campo un attaccante alto, poco conosciuto al grande pubblico fino all'exploit con la maglia della Germania. A dire il vero non è nemmeno tedesco, ma polacco. Gioca in Bundesliga, con la maglia del Kaiserslautern, e risponde al nome di Miroslav Klose.

Il brasiliano Ronaldo è una punta esperta, navigata. A 26 anni è al suo terzo Mondiale o, per esser più precisi, alla sua terza finale consecutiva. La prima, vissuta da comprimario, lo ha visto trionfare a Pasadena, proprio contro di noi. La seconda, che lo avrebbe visto protagonista assoluto, è passata alla storia per la sua crisi epilettica. La terza, però, è quella giusta. Il Fenomeno si prende sulle spalle il Brasile e porta i carioca al successo, segnando una doppietta al tedesco Kahn e portando a casa tutto: Mondiale, Fifa World Player, Pallone d'Oro.
Klose, intanto, studia dal maestro. Ha due anni in meno e tantissima voglia di recuperare il tempo perduto. I numeri non gli mancano. Ha un fisico pazzesco, un atletismo fuori dal comune ed una mente prettamente tedesca. La cultura del lavoro è parte integrante del suo modo di essere, gliela hanno insegnato la mamma e il papà, sportivi professionisti.
Nel 2002 la storia è nota, Ronaldo segna 8 reti e si porta a casa il Mondiale, Klose inizia però a mettere un tassello dopo l'altro per avvicinare il fantastico brasiliano. I due si reincontrano al Mondiale 2006, in Germania, l'ultimo in cui partecipa un Ronaldo ormai spento. Il guizzo del Fenomeno vale il quindicesimo goal nella rassegna continentale, un record assoluto.

Nel frattempo, Miro, fa mambassa di goal e presenze con la sua Nazionale. Meno sponsorizzato di Ronaldo, Klose gioca e segna senza far clamore. Le sue capriole, in segno di esultanza, divengono sempre più frequenti e nel 2006 gli valgono lo scettro di re dei bomber, nonostante la Germania si fermi alle semifinali, annichilita da un'Italia fantastica.
Klose è atleta integro e totale, non perde di vista la porta nemmeno per un istante, specialmente quando indossa la maglia della Germania. Anzi, lavora duramente per essere presente a ogni manifestazione che conta, mettendo a volte in secondo piano le esigenze del suo club. Nel 2010 si presenta dunque ai nastri di partenza con un chiaro obiettivo, avvicinare Ronaldo. Il brasiliano ha realizzato in totale 15 reti, e dorme sonni tranquilli. Klose, che prima della rassegna in Sud Africa è a quota 10, non ha alcuna intenzione di alzare bandiera bianca. E difatti il tedesco mette fin da subito i brividi al carioca, realizzando 4 reti e presentandosi contro la Spagna ad un solo goal dal record. Gli spagnoli "matano" la Germania ed il record di Ronaldo sembra essere al sicuro, troppo lontano il 2014 per un giocatore classe 1978.



Klose, però, è duro a morire. Accetta il ruolo di riserva di Muller e s'imbarca sull'aereo per il Brasile, scalzando il più giovane e quotato Mario Gomez. La prima partita fa panchina, morde il freno ma applaude i suoi compagni, capaci di travolgere il Portogallo con una tripletta proprio di Muller.
Nella partita di ieri sera, contro un Ghana pimpante, i tedeschi sono però sotto. Perdono per 2-1 e rischiano di complicare il girone. Low guarda in panchina e chiama Klose. Al panzer di Opole bastano 112 secondi per scrivere la storia. Si avventa come una lince sul pallone spizzato in area, trafiggendo il portiere africano in spaccata.
Miroslav parte di corsa, festeggiando la rete con la sua celebre capriola. Le primavere passate sul suo corpo sono tante, il gesto atletico è meno fluido di una volta, ma sempre di brutale bellezza. Atterra e viene sommerso dall'abbraccio dei compagni, mentre nello stadio c'è un misto di gioia e amarezza nell'aria. I tedeschi sono al settimo cielo, i brasiliani sono tristi, vedono il proprio re vicino alla caduta.
Il primo a celebrare Klose, però, è lo stesso brasiliano, che a pochi minuti dalla fine del match twitta:

Benvenuto nel club, già. Ma Klose non sembra avere intenzione di parteciparvi, se lo conosco bene vuole avere un club tutto suo, quello di chi è assoluto cannoniere nella storia del Mondiale. Se lo meriterebbe, davvero. Klose, probabilmente, è un gradino sotto come giocatore, ma è un testimonial meraviglioso per questo sport. Nel calcio, come nella vita, il lavoro paga. Klose ha faticato duramente, ed ora raccoglie i frutti dei suoi sacrifici. E questo record vale ancora di più pensando che i due campioni sono separati anagraficamente da appena 2 anni. Rappresentano due fantastiche antitesi per il calcio. Ronaldo è l'emblema del talento, della classe e della potenza, dei doni che madre natura è capace di dare. Klose è invece il simbolo del sacrificio, della forza, del lavoro e dell'ostinazione. Ha dimostrato a tutti che l'uomo, quando lavora, è capace di andare oltre i limiti prestabiliti, di battere qualsiasi record.
In tutto questo la straordinaria e magica coincidenza ghanese. Sia Ronaldo che Klose, infatti, hanno segnato il goal numero 15 al Mondiale contro la nazionale del Ghana. I tifosi africani, forse, non saranno felicissimi di saperlo. Io, al posto loro, mi sentirei onorato di far parte della storia del calcio.

20 giugno 2014

Brasile2014: no chance, England

Nel calcio, come nella vita, i miracoli non esistono. Possiamo parlare di coincidenze fortunate, ma per l'Inghilterra ne occorre più di una per non salutare il Brasile. Un risultato prevedibile, ampiamente pronosticato, perchè la nazionale dei tre leoni è squadra di tradizione, sì, ma ben poco temibile.
Dopo le superbie di inizio XX secolo, gli inglesi hanno sempre collezionato più figuracce che successi, con Hodghson al timone e quei 23 in rosa, a mio parere, non poteva essere altrimenti.

Tradizionalmente considerata una delle favorite, l'Inghilterra non sforna talenti cristallini da diversi anni. Certo, Lampard, Rooney e Gerrard sono grandi giocatori, ma non bastano per vincere un Mondiale o un Europeo. Occorre un'intera squadra al servizio del successo, con gente di personalità, carisma e classe in ogni reparto.
Nel 1990, nella rassegna italiana, i tre leoni erano davvero una squadra temibile. Non avevano Hart, Cahill e Wellbeck, ma leader come Shilton, Lineker e Platt, ed infatti se la sono giocati fino in fondo.
Nel 1996, durante il bellissimo Europeo inglese, potevano davvero ambire al successo. Giocando in casa avevano una spinta emotiva fuori dal comune e, soprattutto, una squadra colma di talento. Gary Neville, Paul Ince, Paul Gascoigne, Teddy Sheringham ed il fenomeno Alan Shearer. Anche in quel caso, nonostante tutto, è stata la Germania ad infrangere i sogni di successo dei britannici.
L'ultima Inghilterra degna di nota, infine, è datata 1998. Ai reduci del torneo continentale, infatti, aggiunsero Sol Campbell, david Beckham, Paul Scholes e Michael Owen. La generazione di fenomeni del '92 e Owen, di lì a poco Pallone d'Oro. Eppure, nonostante la grande squadra ed il bel gioco, è l'Argentina di Simeone, Batistuta e Veron a spuntarla, rispedendo mestamente l'Inghilterra oltre la Manica.

Nemmeno Capello, un sergente di ferro, è riuscito a ridar lustro alla compagine di
sua maestà, a mio parere era impensabile aspettarsi che ci riuscisse uno come Roy Hodghson. A maggior ragione con il materiale umano a sua disposizione, fatto di un "usato sicuro" un pò troppo attempato, ed una generazione non a livello delle aspettative. Non per una Nazionale che pretende di andare a vincere il Mondiale.
Come detto a inizio pezzo, io ai miracoli non ci credo. Le fortune degli uomini di sua maestà passano dalla nostra partita con il Costa Rica ed un fortutio incrocio del destino. L'aereo per l'Inghilerra, però, è già sulla pista pronto al rullaggio.

19 giugno 2014

Brasile2014: la brutale bellezza del calcio

La fine di un'era, la caduta degli Dèi, la tomba dei campioni. Da ore se ne sentono di cotte e di crude sulla prematura uscita della Spagna al Mondiale, un evento che francamente si aspettava quasi nessuno. Eppure questa è la bellezza del calcio e dello sport, la sua imprevedibilità. Non c'è mai nulla di scritto e di scontato, la situazione può essere ribaltata in qualsiasi momento e modo. L'emblema di quanto sto dicendo, a mio avviso, è proprio la partita inaugurale delle Furie Rosse in Brasile, contro la bella Olanda di Van Gaal. Gli spagnoli non solo non hanno giocato male, ma hanno addirittura dominato il primo tempo. Sono andati in vantaggio, hanno avuto l'occasione per raddoppiare, poi l'inspiegabile black-out. Dal goal di Van Persie è radicalmente cambiato il vento, le certezze iberiche si sono sgretolate ed il castello è crollato, come spazzato via dal vento.

La prematura uscita di scena della Spagna, però, era prevedibile. Non a livello tecnico, dove gli uomini di Del Bosque partivano giustamente come favoriti, ma sul piano della cabala. Dal 2002 ad oggi, infatti, il campione uscente del Mondiale ha praticamente sempre faticato e raccolto magre figure. A cominciare dai nostri amici transalpini, tramortiti in Corea e Giappone dal Senegal di Diouff e Fadiga e dall'Uruguay di Forlan. Poi gli azzurri, che, da campioni in carica, in Sud Africa sono stati eliminati in un girone così ridicolo da far dimenticare a tutti la storia del falso dentista coreano Pak Doo-Ik, carnefice dell'Italia a Inghilterra '66.

Questa non è altro che la sindrome della "pancia piena". L'appagamento è il male più grande che possa attanagliare uno sportivo, quando mancano stimoli e grinta la sconfitta è inevitabile. Gli spagnoli, per quanto si possa giudicare dall'esterno, sono una squadra svuotata di energie, fisiche e mentali. Hanno vissuto 8 anni al massimo dopo una storia secolare di sconfitte e figuracce, e non sono riusciti nel cambio generazionale.
Gran parte della rosa è quella reduce dal vittorioso europeo di Austria e Svizzera, ma gli anni passano per tutti. Casillas è l'ombra si sè stesso, resta un buon portiere ma ha dimostrato negli ultimi mesi di non avere lo spessore tecnico e mentale di uno come Buffon.
La difesa, orfana dell'unico vero marcatore, Puyol, ha fatto acqua da tutte le parti. La cattiveria di Ramos e il dinamismo di Piquè non bastano, specie se a presidiare le fasce laterali ci sono Jordi Alba e Azpilicueta, bravi nella fase di spinta e molto meno in quella di contenimento.
Il centrocampo, fiore all'occhiello degli iberici, ha perso (era in panchina) il vero metronomo, Xavi Hernandez. Il fatto che il Barcelona abbia accettato di privarsene, e che lui abbia detto sì all'esperienza Qatariota, sono segnali inequivocabili. Iniesta non è più il ragazzo che si toglie la maglia sotto il cielo africano e porta in Spagna la Coppa del Mondo, Javi Martinez uno dei calciatori più sopravvalutati del millennio. Restano Xabi Alonso e Silva, che hanno fatto ciò che potevano ma non bastavano. Ecco allora emergere le colpe di Del Bosque, che ha preferito lasciare a casa gente come Borja Valero e Gabi, ed in panchina uno come Koke, capace di fare la differenza con l'Atletico Madrid.
Davanti, il nulla. Il naturalizzato Diego Costa non ha giocato male, ma era solo, troppo. Torres è da ormai quattro anni un fantasma e Villa ha fatto il turista in Brasile aspettando l'MLS.

Ecco la ricetta del disastro. Quando non hai motivazioni, quando credi di essere il più forte, nello sport vieni punito. E' un male comune a molti, ed è il motivo per cui ammiro così tanto gente come Del Piero, Maldini, Jordan, Valentino Rossi e Nadal. Uomini affamati, cannibali della vittoria. Sportivi che hanno cercato (o cercano tutt'ora) il successo dal primo all'ultimo giorno; che hanno saputo riprendersi da gravi infortuni e combattono quotidianamente contro l'idea di perdere. E' questo l'unico avversario da sconfiggere, ma è il più difficile. 

18 giugno 2014

Mondiali2014: saudade do vero Brasil

Il calcio offre poche certezze, la bellezza di questo sport sta nella sua imprevedibilità, nell'impossibilità di prevedere quello che accadrà. Come in tutte le competizioni esistono favoriti ed outsider, ma dal primo all'ultimo minuto non sai mai quello che potrà succedere. Il Mondiale brasiliano ci sta insegnando che i pronostici, anche quelli più scontati, son fatti per essere sovvertiti.
Delle poche certezze che da il calcio, però, fino ad oggi ve ne era una ben scolpita nella mia mente: l'attacco brasiliano. Fin da quando ero bambino si sono succeduti con la casacca verdeoro campioni di primissimo livello, centravanti e fantasisti così forti che tutte le altre nazioni al mondo potevano solo provare invidia nei confronti del carioca sudamericani. Romario e Bebeto, con la loro esultanza americana, mi hanno spiegato cosa significhi vivere per il goal. Ronaldo, tanto con le maglie dei club che con quella del suo paese, mi ha letteralmente stregato. Non mi vergogno a dire e pensare che, probabilmente, è per me il migliore di sempre. O meglio, il Ronaldo al top della forma non ha eguali al mondo. Di sicuro non nel ruolo di prima punta, perchè non posso nemmeno immaginare un bomber più efficace di lui.

Ultimamente la scuola carioca ha un pochino perso il suo tocco magico, eppure Pato e Adriano erano attaccanti di un certo livello. Guai a paragonare uno dei due a Ronaldo o Romario, però suvvia, non erano proprio gli ultimi due arrivati. E invece oggi, il Brasile di Scolari, si presenta con un attacco raccapricciante. Dopo la nefasta spedizione del 2010, in cui Dunga aveva affidato le sorti offensive del paese a Luis Fabiano - detto 'O Fabuloso non ho mai capito da chi e perchè -, la situazione è andata ancora peggiorando. Oggi, davanti al pubblico di casa, si alternano due prime punte che faticherebbero a trovare posto in una mediocre squadra europea. Fred, al secolo Frederico Chaves Guedes, è un classe 1983. Dal 2009 si è (ri)trasferito in patria per giocare alla Fluminense, dopo aver chiuso il suo ciclo europeo con la maglia del Lione. Approdato in Francia dal Cruzeiro, Fred non ha mai superato i 16 goal stagionali (coppe comprese) con la maglia della compagine transalpina. Non certo un grande record per una punta, figuriamoci per una che viene dal paese dei centravanti.
L'alternativa, se così la possiamo chiamare, è ancora più sconcertante. João Alves de Assis Silva, conosciuto come Jo, è un giocatore talmente modesto da essere passato inosservato ai più. Dopo un piccolo exploit con la maglia del Cska di Mosca, viene acquistato dal Manchester City. Le sue prestazioni con i Citizen sono così di basso livello che le aquile di Manchester le provano tutte pur di rivalutarlo. Dopo il primo anno, chiuso con la bellezza di una sola rete all'attivo, lo prestano in giro per l'Europa. Nessuno mostra interesse verso di lui, ed il City riesce a "farlo fuori" solo nel 2011. Tornato in Brasile, Jo, non perde il vizio di segnare poco-nulla. Dal 2012 ad oggi le sue reti sono 18, ma tanto basta a Scolari per portarlo come rincalzo dell'esperto Fred.

Ora, sarò prontamente smentito dopo questo post, ma non mi capacito di come sia possibile tutto questo. Accanto a loro, forse, anche un ariete nostrano come Amauri avrebbero potuto recitare un ruolo da protagonista.
Once upon a time, Brasil.

17 giugno 2014

Brasile 2104: Thomas Müller, il prototipo del centravanti tuttofare

La Germania ha letteralmente annichilito il Portogallo, più di quanto fosse lecito aspettarsi. Io, a dire il vero, mi sarei aspettato uno scherzetto lusitano, ma evidentemente ho sopravvalutato Ronaldo e compagni. I tedeschi sono come noi, nei grandi eventi ci sono sempre. Più ancora degli azzurri fanno della solidità e della continuità un vero marchio di fabbrica.
Eroe di giornata, ovviamente, Thomas Müller. Non tanto e non solo per la tripletta, quanto piuttosto per i suoi numeri e per l'insolita posizione ricoperta. Nato centravanti, Müller è stato riciclato negli anni come esterno offensivo o seconda punta, da tempo nel Bayern non fa più la punta vera. Con Olic, Gomez o Mandzukic, il prodotto del settore giovanile del Bayern Monaco si è sempre messo al servizio della squadra. Una qualità non indifferente, apprezzabile e ammirevole, ma che ha gioco forza modificato il suo modo di giocare, il suo modo di essere centravanti. Müller, al di là del cognome pesantissimo, è diventato un centravanti moderno, abile a toccare il pallone in diverse zone del campo e dialogare con centrocampisti e prima punta.

All'esordio del Mondiale, tatticamente, la sua posizione viene modificata. Fuori il centravanti di riferimento, Miro Klose, il commissario tedesco punta su di un trio tutto classe e velocità. Thomas è ovviamente la punta di diamante, quello che più di Ozil e Goetze ha confidenza con i portieri e le reti avversarie. 
I numeri dell'attaccante di Weilheim, sono incredibili. Nella prima frazione di gioco, dati ufficiali alla mano, corre 6,195 Km, partendo da sinistra per tagliare come il burro la difesa portoghese.
Al primo tiro in porta, subito goal. Certo direte voi, facile su calcio di rigore, ma intanto li segna e li sbaglia solo colui che ha il coraggio di tirarli. Le sue scorribande, i suoi inserimenti, mettono a dura prova i difensori di Lisbona, che spesso lo fermano con le cattive. In uno dei suoi scatti, che arrivano a toccare l'invidiabile velocità di 29.05 Km/h, Pepe mette il fisico. Il tedesco è scaltro e un pochino disonesto, appena si sente toccato cade a terra. Il difensore del Real Madrid, che quanto acume non è mai stato avanti a tutti, lo affronta testa a testa. Gli da una testatina mentre è a terra, nulla di violento, ma sufficiente per non far gridare allo scandalo per il rosso esibito dall'arbitro.
Con l'uomo in più la Germania dilaga e al secondo tentativo Müller conferma la sua fama di cecchino: 2 conclusioni e 2 reti, con una media realizzativa pulita pulita del 100%.

La musica non cambia nella ripresa, con la Germania padrone del campo. I ritmi si abbassano, il possesso palla aumenta ma non l'impegno del numero 13. Müller corre infatti 4,420 Km in 36', sfiorando i 26,5 Km/h, niente male per giocare in un clima torrido. La posizione in campo è pressochè la stessa, l'efficacia offensiva anche. Müller arriva alla conclusione due volte, trovando la via della rete per portare a casa il pallone della gara ed issarsi in vetta alla classifica marcatori.
Klose, che al Mondiale cerca il goal numero 15 per eguagliare nell'all-time top scorers il brasiliano Ronaldo, è avvisato. Thomas Müller ha tutte le intenzioni di riprendersi con la Nazionale il suo ruolo di centravanti.

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