Esperto di Calcio

6 marzo 2014

Storie di calcio: il gladiatore dal cuore d'oro, Carles Puyol

"A fin de temporada rescindiremos el contrato y dejaremos sin efecto los dos años que quedan de contrato".
Con queste poche ma inequivocabili parole saluta il Barcelona uno dei difensori più forti degli ultimi anni, simbolo di una squadra e di una città intera.
Carles Puyol ha deciso di salutare tutti con anticipo, senza ipocrisie o ripensamenti di comodo. Ha convocato una conferenza stampa, si è presentato con Adoni Zubizarreta e Ivàn de la Peña, amici e simboli del Barça, tanto quanto lui. Sobrio, emozionato ma pacato come sempre, Puyol saluta i blaugrana dopo 19 anni, quattro spesi fra cantera e squadra B, 15 a guidare l'assalto con il suo furore agonistico, la sua tempra ed il suo stile unico.
"È uno che, anche se si sta vincendo 3-0 e mancano pochi secondi alla fine della partita, griderà al massimo della sua voce se pensa che la concentrazione stia andando via". Le parole di Piquè, centrale esploso all'ombra del suo mito Carles, inquadrano perfettamente che tipo di calciatore sia stato e sia oggi Puyol, un lottatore.



Fra i difensori centrali non ho molti miti, forse giusto Paolino Montero, Fabio Cannavaro e Paolo Maldini, ma dal primo giorno in cui vidi questo capellone dal cuore immenso sentii subito un’attrazione fatale nei suoi confronti. Sarà stata la maglia che indossava, che fin da bambino ha suscitato in me sogni e ammirazione; sarà per il suo stile ruvido ma corretto; sarà per il suo fare schivo e disinterassato; sarà per un insieme di fattori. L'unica incontrovertibile realtà è che Puyol è stato uno dei difensori che più mi hanno entusiasmato, che più si confanno alla mia idea di stopper.
Cresciuto con il sogno di diventare portiere nella squadra della propria città, Pobla de Segur, si trasforma in giocatore di movimento per un problema alla spalla, entrando a far parte delle giovanili Blaugrana come mediano. I tecnici del Barcelona capiscono in breve tempo che quel furore agonistico non può essere ingabbiato nella mediana, e lo trasformano in terzino destro. Corsa, grinta e tenacia gli fanno bruciare le tappe, tanto nella crescita calcistica quanto nelle gerarchie catalane.



Il 2 ottobre 1999 è il santone olandese Luis Van Gaal a lanciarlo in prima squadra, in una trasferta sul campo del Real Valladolid. Van Gaal non è mai stato uno dei miei allenatori preferiti, ma è di certo uno dei più coraggiosi in fatto di giovani. Come potrebbe essere altrimenti crescendo alla scuola Ajax, ma i meriti nel lanciare giovani campioni non glieli possiamo certo togliere.
Carles ci mette poco a ritagliarsi il suo spazio, tanto nel Barça quanto nella nazionale under 21, con cui vince l'argento a Sidney, nelle Olimpiadi del 2000.

La ferocia con cui aggredisce il campo e gli avversari impressiona la Spagna, tanto da iniziare una metamorfosi tattica ben definita. Puyol inizia ad arretrare il suo raggio d'azione e collocarsi nel cuore della difesa, dove il suo fisico gladiatorio sovrasta gli attaccanti avversari.



Divenuto in breve tempo idolo assoluto della tifoseria catalana a Puyol diventa una colonna della squadra, tanto da meritarsi una clausola di rescissione "monstre": 180 milioni di euro. Nel 2003 Frank Rijkaard gli consegna la fascia da capitano, preferendolo a campioni del calibro di Ronaldinho; colonne come Luis Enrique o giovani stelle come Iniesta e Xavi. Proprio con questi ultimi due stringe un sodalizio molto forte, tanto in blaugrana quanto in Nazionale.
Proprio con le Furie Rosse vive nel 2010 forse l'emozione più grande, vincendo il Mondiale da protagonista. Suo il goal che ha spalancato l'accesso alla finale, stendendo con una testata la Germania di Loew in semifinale.

Di pari passo a successi ed allori, nazionali e internazionali, arrivano gli infortuni.





Il sorriso e lo spirito da guerriero, a volte, non bastano. Otto operazioni al ginocchio, una alla spalla, una al gomito..metterebbero k.o. quasi tutti, ma Puyol ha stretto i denti, ha provato a non mollare. A quasi 36 anni, però, è umano dire basta, arrendersi.
Io, che l'ho sempre apprezzato e sostenuto, lo ricorderò sempre per quello che è secondo me uno dei gesti più belli nella storia del calcio e dello sport.



Alzare un trofeo, o per meglio dire "il trofeo" nel caso della Champions, è un onore impareggiabile. Cedere fascia e onore ad un compagno sfortunato, Abidal, denota quanto grande sia il cuore di questo ragazzone spagnolo.





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