Esperto di Calcio

7 novembre 2013

Storie di calcio: la Juventus gioca a tennis sull'erba di San Siro

Nel fine settimana in cui abbiamo trionfato sulla fortissima Spagna in coppa Davis, anche il Milan ha voluto rendere omaggio al tennis italiano“.

Parole forti quello del cronista di Radio Rai, che nel raccontare una partita storica per alcuni, devastante per altri, gira il dito nella piaga. Le sferzanti parole bruciano come il sale sulla ferita e la faccia di Arrigo Sacchi, nel post match, la diceva lunga. Le critiche per il Diavolo arrivarono da tutte le parti, tutt’Italia si univa alla sfrenata tarantella di chi ballava sulle macerie di una delle squadre più forti di sempre. Il Milan dei campioni, degli invincibili, apparteneva il passato e non esisteva più. Quattro scudetti e tre finali di Coppa Campioni in cinque anni più un numero imprecisato di supercoppe e supercoppette, brutalmente archiviate in 90 minuti in cui i Baresi, i Savicevic, i Simone raggrinzirono di colpo, sopraffatti dal calcio del Duemila.

Milan-Juventus è molto più di una semplice partita di calcio, è una vera e propria sfida nella sfida, un confronto a tutto campo tra le due squadre più vincenti del calcio italiano. Il prestigio e l'importanza di questa "classica" va ben oltre il semplice conteggio dei trofei conquistati, Milan - Juventus infatti è soprattutto una sfida di cuore, paragonabile per intensità solo ad una stracittadina.
La Juventus si presenta a San Siro da prima della classe. Nonostante le cessioni di campioni come Vialli e Ravanelli, i bianconeri di Lippi conducono un campionato di vertice ed una Champions quasi perfetta, arrendendosi al Borussia Dortmund di un altro grande ex, il lusitano Paulo Sousa. La compagine torinese è come un meccanismo ben oliato. Gira bene, gioca a memoria e ha in rosa alcuni fuoriclasse. Alessandro De Piero, la vera stella della squadra, è infortunato. Le sorti della squadra passano dunque dai piedi di un ragazzo francese, approdato in sordina ma capace di ritagliarsi un ruolo importante. Sulle spalle ha il numero 21; i capelli, radi, ne faranno la fortuna, lo renderanno un’icona. Il suo nome, ovviamente, è Zinedine Zidane. Zizou è il collante fra centrocampo e attacco, composto dal giovane Christian Vieri e dalla stella croata Alain Boksic.

Il Milan era invece l’ombra di sè stesso. Una squadra nata sbagliata, nell’illusione che l’eredità di Capello potesse essere raccolta da un uomo compassato come Oscar Tabarez, e cresciuta peggio con la grottesca “rentrée” di Arrigo Sacchi. Il tecnico emiliano, scippato nottetempo a una Nazionale che non lo sopportava più, esula a Milano il suo canto del cigno. Galliani aveva assemblato una squadra senza capo né coda, imbolsita in molti senatori (Baresi-Vierchowod, coppia centrale da 74 anni in due) e profondamente inadeguata in più ruoli. Una catena di destra composta da Reiziger e Blomqvist, un attacco poggiato sul carneade francese Dugarry, costantemente preferito ad un certo Roberto Baggio.
Con queste premesse, l’esito della partita pare scontata. La sera di San Siro, però, nessuno si sarebbe sognato un punteggio simile. Violare la tana di una storica rivale è spesso un’impresa, violentarla con sei goal è qualcosa di sublime. Lo sanno bene gli stessi tifosi rossoneri, che tra qualche storia gioiranno per le sei reti rifilate ai cugini nerazzurri di Tardelli, umiliati come accadde loro in quella notte di Aprile del 1997.
La partita, diretta da Braschi di Prato, è molto maschia. Le due squadre prediligono la spada al fioretto, epuntano tutto sul fisico. La rivalità di due grandi club si sente, sia in campo che sugli spalti. Dopo soli 19′, però, l’inerzia della partita cambia: Di Livio prende palla sulla fascia destra, vede il taglio di Conte e lo serve in verticale, il centrocampista leccese vede il movimento dell’accorrente Vieri che, pur tallonato da un difensore rossonero, riesce a tirare verso Rossi, il quale riesce a respingere, ma non a trattenere il pallone; dell’incertezza del portiere rossonero riesce ad approfittarne Jugovic, che con un bel gesto atletico, insacca alle spalle di Rossi. La Juve è in vantaggio grazie ad un’azione corale, marchio di fabbrica della gestione Lippi.
I bianconeri prendono coraggio e continuano a farsi pericolosi con diverse incursioni nell’area del Milan, finchè Boksic non viene ingenuamente atterrato in area da Maldini, per l’arbitro Braschi non c’è nessun dubbio: è calcio di rigore; dal dischetto, Zidane non sbaglia, la Juve raddoppia. Si va quindi al riposo con risultato di 2-0, la squadra di Sacchi sembra non riuscire a sostenere la situazione nè di ribaltare il risultato. Ne dà dimostrazione ad inizio ripresa, quando, su un’azione di contropiede degli ospiti, la difesa rossonera lascia ingiustificatamente solo Jugovic, il quale, in giornata di grazia, controlla il pallone e riesce a superare nuovamente Rossi con un bel destro sul primo palo. Tre a zero e doppietta personale per il centrocampista serbo, già consacrato idolo dei tifosi dopo aver messo a segno il rigore decisivo in finale di Champions League.

A questo punto il Milan prova a reagire, Sacchi fa entrare Baggio al posto di Blomqvist, ma questo non fa altro che ridurre gli uomini di copertura a centrocampo e spostare il baricentro della squadra in avanti. Infatti, dopo appena 10′ dalla sostituzione, la Juve mette a segno altre due reti “di rapina”: la prima di Vieri, perfettamente servito in area da un pennellata di Tacchinardi, e la seconda di Amoruso, che raccoglie l’ennesima respinta corta di Rossi, questa volta scaturita da un bel tiro di Jugovic. Cinque a zero e partita archiviata. Marco Simone, storico attaccante rossonero, prova a rendere meno amara la serata, battendo Peruzzi con un gran tiro in corsa da azione di calcio d’angolo. Il gol della bandiera non è festeggiato, il numero nove torna mestamente a centrocampo con il capo chino e l’espressione di chi vuole andare al più presto sotto la doccia.
La Juve di Lippi, però, non ha alcuna intenzione di fermarsi. La sfrontatezza dei suoi giovani e la rivalità con il Diavolo portano i bianconeri a continuare a giocare, spingere, attaccare. A chiudere definitivamente i conti è Christian Vieri, con un guizzo da vero campione. Salta secco un Baresi ormai logoro e deposita il pallone sul palo più lontano con un sinistro secco e preciso.

Per i tifosi meneghini la partita fu una lenta e crudele esecuzione. Il primo tempo mantenne una parvenza di equilibrio, nonostante il gol del vantaggio juventino avesse già evidenziato sinistre crepe nella compagine di Sacchi. La ripresa è stata la classica esecuzione del boia, il colpo ferale all’animale ferito.
Tatticamente fu una lezione severa quella che Marcello Lippi impartì ad Arrigo Sacchi, mediaticamente conosciuto come “il maestro” degli anni ’90. Impossibile negare i meriti di un allenatore vincente, bravo a dare una mentalità nuova al nostro calcio e portare il Milan a trionfi inimmaginabili. Sapersi rinnovare, crescere e adeguarsi allo scorrere del tempo, però, è una dote fondamentale nello sport. Sacchi, sia in Nazionale che nel suo secondo mandato milanista, ha dimostrato di non essere stato al passo coi tempi. Non ha saputo adeguarsi ai cambiamenti che lo sport stava subendo.

Lippi era a cavallo fra anni ’90 e primi anni ’00 l’allenatore italiano che meglio di chiunque altro ha saputo capire come il calcio stesse evolvendo. Non più uno sport fatto di tattica e movimenti, ma di corsa e preparazione fisica. Al calciatore non chiedeva di essere disciplinato e attento, per lo meno non solo. I suoi ragazzi erano fisicamente preparati, in forma perfetta. Resistenza e velocità erano alla base di una preparazione fisica che stava cambiando. Non più esercizi tecnico-tattici, ma fisico-atletici. Lippi ha saputo unire il fanatismo atletico di Zeman con le idee tattico-tecniche di Sacchi, Capello e Trapattoni.
Arrigo Sacchi, uscito visibilmente scuro in volto nel bavero del suo cappotto nero, non pensava che quella partita fosse, di fatto, il suo addio al grande calcio.
“Non ho mai saputo di un fantino che è stato un grande cavallo”. Rispondeva così l’allenatore romagnolo a chi, a inizio carriera, lo accusava di non avere la giusta esperienza. Con le sue vittorie ha dimostrato di essere una persona intelligente, preparata. Il suo calcio disciplinato, quasi scientifico, ha saputo dividere l’Italia in due fazioni ben definite, coloro che lo hanno sempre definito un genio e quelli che lo credono sopravvalutato, vincente solo grazie ai campioni che Berlusconi gli comprava. Io non ho la pretesa di saper rispondere ad una annosa questione come questa. Mi limito a raccontarne la storia, e quella sera nel cielo di San Siro si consacrava una sola stella nel calcio. Non era nè Sacchi nè Lippi, ma Zinedine Zidane.

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