Esperto di Calcio

14 maggio 2013

L'insostenibile pesantezza di essere un arbitro

Stamattina, durante la rassegna stampa della domenica calcistica appena terminata, mi sono imbattuto in questo articolo di Carlo Nesti, titolato “Rocchi: la pagliacciata della permalosità arbitrale”: “Milan-Roma: Rocchi, che pagliacciata! Seguo il calcio da 40 anni, e da 40 anni continuo ad assistere al “culto della personalità” della “casta arbitrale”. Questi signori, prima vestiti in nero, poi in rosso, poi in blu, poi in giallo, e, un giorno, si spera, “nudi”, e cioè spogliati del loro narcisismo, commettono il solito errore ereditario, da Lo Bello, a Collina, fino ai giorni nostri. Antepongono la permalosità, irritandosi come bimbi dell’asilo al minimo affronto, all’incolumità dei giocatori. Un atleta rischia di spezzare la gamba al prossimo? Cartellino giallo. Muntari, a fronte di una ammonizione inesistente, ai danni di Balotelli, si permette di afferrare Rocchi per un braccio, senza offenderlo? Espulsione, manco fosse “lesa Maestà”, e partita falsata. Inoltre, al momento di fermare l’incontro, per i “buu” razzistici contro Balotelli, l’arbitro “prescrive” un minuto di sospensione (60 secondi) come deterrente, nei riguardi degli ultras giallorossi deficienti. Come dire: “Stupidini, mi raccomando, non lo fate più!”. Ma è una interruzione di almeno 5-10 minuti a mettere gli “energumeni” dinanzi alle responsabilità! Ci vogliono “bastoni morali”, e non “carote prostatiche”!” Cosa dire. Sugli arbitri delle massime categorie nazionali si può dire tutto tranne che siano permalosi: per esempio, ricordo un Udinese-Roma dove Totti mandò a quel paese Rizzoli per tre volte consecutive, reo di averne intralciato una conclusione. Solamente al terzo “vaffa” fu estratto il cartellino giallo. E non il rosso, un sacrosanto rosso. Non aggiungo altri esempi, ma ogni domenica è costellata di esempi di inaccettabile tolleranza alle proteste e agli insulti da parte dei nostri fischietti. Nella gara oggetto dell’articolo di Nesti, Milan-Roma, Muntari afferra con vigoria il braccio di Rocchi e secondo Nesti non andrebbe espulso, in quanto l’espulsione falserebbe la partita. Rimango senza parole, basito. Il primo pensiero va ai campi di provincia, quelli del calcio dilettantistico, dove si scimmiottano sempre più gli atteggiamenti dei “grandi” giocatori visti in tv. Penso ai tanti episodi di violenza, dove i calciatori che perdono le staffe senza motivo e aggrediscono, colpiscono, arbitri di tutte le età, che a seguito dell’aggressione sospendono giustamente la gara e vengono addirittura contestati per averlo fatto. Penso al loro tragitto verso gli spogliatoi, doloranti e soli, la chiamata alle forze dell’ordine (che andrebbe fatta dalle società), il dirigente che si presenta nello spogliatoio e chiede di chiudere un occhio su quanto successo. Penso al viaggio fino al pronto soccorso, la lunga attesa per la visita e la chiamata a casa per comunicare quanto successo, con la relativa preoccupazione che una tale comunicazione suscita nei familiari. Penso al ritorno a casa a notte inoltrata, con una cena da fare e un referto da redigere, magari con un collare al collo per la violenza delle percosse. Penso alla notte insonne per il dolore e le emozioni della giornata. Penso al lunedì in sezione, dove un presidente troppo impegnato ti dirà semplicemente di scrivere quanto successo, e ti ritroverai ancora solo e umiliato, nel fisico e nella mente, abbandonato da chi dovrebbe tutelarti. Penso al giovedì, il giorno del comunicato ufficiale, dove è uscita la squalifica dell’aggressore: diciotto mesi, ridotti poi in appello a dodici, molti dei quali estivi, quelli in cui non si gioca. Penso allo stato d’animo di questo ragazzo/uomo, alla riflessione circa l’andare ancora avanti nel fornire un servizio alla federazione per ventisette miseri euro o restare a casa per non correre altri pericoli. Penso al giorno delle dimissioni, dove i colleghi e i dirigenti ti diranno che non bisogna lasciare e che se lo fai sei un codardo. Penso a cosa lascerà in questo ragazzo/uomo questa esperienza. Penso a tutto questo. Ora, caro Carlo Nesti, pensi a tutto questo. Pensi se atteggiamenti come le aggressioni fisiche e verbali nei confronti degli arbitri siano da difendere invece che stigmatizzare. Pensi a tutti i calciatori professionisti e dilettanti che da domenica prossima si sentiranno legittimati ad avere certi atteggiamenti verso gli arbitri, atteggiamenti che di sportivo hanno poco. Perché secondo Lei, che dello sport fa il Suo lavoro, la vittima di una aggressione, aggredito perché colpevole di avere adottato una scelta definita come discutibile, non ha il diritto a far rispettare la propria autonomia e identità. Si metta nei panni di quell’uomo/ragazzo e pensi se è una persona permalosa. E pensi se tutto questo è una pagliacciata.

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